Un certo numero di situazioni per le lesioni atletiche sono state presentate in letteratura (1,2,3,4). Tuttavia molte di queste sono di natura generale e non forniscono spiegazioni dettagliate delle relazioni causali con gli infortuni. Bertelsen e al. (4) hanno recentemente presentato un quadro specifico per le lesioni legate alla corsa e hanno suggerito la necessità per lo sport di quadri specifici al fine di ampliare la comprensione dei meccanismi d’infortunio. Sebbene queste possano avere un valore, in particolare per affrontare i fattori contestuali delle lesioni all’interno di determinati sport, è fondamentale stabilire e comprendere adeguatamente le relazioni fondamentali al danno tessutale e alle specificità della lesione. Ciò è importante in quanto il danno tessutale è l’incipit per l’insorgenza di lesioni atletiche e i meccanismi all’origine tra le lesioni possono essere presenti in numerosi sport.
Per comprendere le cause di danni ai tessuti e lesioni è importante affrontare i principi meccanici fondamentali relativi alla fatica e al cedimento muscolare. Come concetto generale, il cedimento si verifica quando la resistenza di una struttura o di un materiale viene superata da stress e sforzi eccessivi indotti da una sollecitazione singola ad alta forza o in alternativa sollecitazioni di carico ripetute a una percentuale del massimo della massima forza. Considerando che anche il tessuto biologico è un materiale, rimangono applicabili gli stessi principi fondamentali di affaticamento e cedimento. Tuttavia è importante riconoscere l’ambiente fisiologico dinamico in cui risiede il tessuto, incorporando rimodellamento e recupero tessutale. Come tale, considerando che la stragrande maggioranza delle lesioni atletiche da contatto e senza contatto si verificano a seguito dell’esposizione a stress e sforzi singoli o ripetuti (6,7,8,9), inclusa la lesione da sovrallenamento (7), c’è spazio per molte lesioni atletiche da includere in un unico quadro concettuale incentrato su stress e sforzo. In questo contesto “stress” si riferisce specificamente alle forze interne che una struttura percepisce e può essere ulteriormente definito come la forza per unità di area, mentre “sforzo” è definito come la quantità di deformazione o variazione di lunghezza nella direzione di applicazione di una forza.
Questo documento propone un modello concettuale semplificato d’infortunio atletico insieme a un quadro dettagliato per lesioni legate allo stress, allo sforzo e al sovrallenamento. Il modello e la struttura si basano sui modelli esistenti di Meeuwisse et al.(2) e Bahr et al. (1) fornendo un percorso causale dettagliato per una serie di fattori di rischio di lesioni, collegando insieme fisiologia, meccanica e carico tessutale. Il modello e il quadro sono stati creati con l’intento di spostare la ricerca sugli infortuni lontano dal solo stabilire le associazioni con gli infortuni (ipotizzando dopo aver scoperto i risultati) (10) e con il tentativo di stabilire una causalità diretta esplorando come specifici fattori di rischio d’infortunio contribuiscano alle cause del verificarsi della lesione. Come per tutte le situazioni, i componenti specifici e i collegamenti dovrebbero essere esaminati attraverso studi specifici e modificati o emessi secondo necessità. Questo è un passo normale nel processo scientifico.
Modello concettuale per infortunio nell’atleta
Il modello concettuale d’infortunio nell’atleta presentato di seguito (Fig. 1) ha 6 livelli basati sull’infortunio. Il livello esterno/primo comprende tutti i fattori contestuali causali. Affinché un fattore contestuale sia considerato causale, deve influenzare in qualche modo la resilienza di un tessuto specifico soggetto a lesioni, il carico applicato a quel tessuto o entrambi. Per raggiungere questo obiettivo, il fattore contestuale in questione deve esercitare i suoi effetti sul secondo livello della struttura che consiste nel profilo e nel funzionamento fisiologico di un individuo, nelle proprietà meccaniche e nella forza applicata al corpo e ai vari tessuti all’interno. Tutti e tre i componenti dell’anello esterno interagiscono per determinare il terzo livello del modello che include la tolleranza di carico delle strutture soggette a lesioni e il carico applicato. Come concetto generale di lesione, quando il carico applicato a una struttura specifica supera la tolleranza del carico, si ottengono lesioni. Il quarto livello è meccanicamente più specifico del secondo, incorporando lo stress e lo sforzo interno subito da tessuti specifici e perfezionando al contempo la tolleranza del carico strutturale in forza specifica del tessuto. Il quinto livello esamina ulteriormente questo aspetto, assegnando un intervallo di tempo attraverso una separazione in sollecitazioni e sforzi immediati e ripetuti, che devono essere considerati quando si studiano vari tipi di lesioni. Differenze considerevoli nei modelli di carico possono comportare una varietà di risultati riguardanti il tipo di lesione, come lesioni acute correlate allo stress, allo sforzo o al sovrallenamento. Il livello finale del modello si riferisce all’effettivo verificarsi di lesioni. Quando lo stress o lo sforzo subito, sia di natura immediata o ripetuta, supera la resistenza di un particolare tessuto, si verificano indebolimenti e risultati lesivi. Tuttavia una lesione da uso eccessivo si presenta in genere prima del completo deterioramento del tessuto.
Figura 1: un modello concettuale per gli infortuni negli atleti
Vi sono una serie di considerazioni chiave che meritano attenzione qualora debbano essere fatti approfondimenti dei potenziali fattori di rischio al danno. Queste considerazioni contribuiranno a facilitare la formazione di appropriate strategie di mitigazione del rischio. È importante sottolineare che i ricercatori devono determinare se un potenziale fattore di rischio causale influenza contemporaneamente la tolleranza al carico dei vari tessuti soggetti a lesioni durante una determinata attività e i carichi sperimentati da quel tessuto. Questa è una considerazione importante in quanto la lesione deriva da una complessa interazione tra forza del tessuto e carico del tessuto e potrebbero esserci strategie di mitigazione del rischio di lesione che riducono la tolleranza del carico di un particolare tessuto o struttura, ma influenzano poco o addirittura migliorano lo stato di rischio della lesione attraverso una riduzione concomitante di carichi applicati. Sebbene un miglioramento dello stato di rischio d’infortunio appaia vantaggioso, in tale scenario si possono avere una riduzione delle capacità atletiche e degli ostacoli ai risultati prestativi. Come concetto generalizzato ciò può verificarsi se l’applicazione del carico si riduce in misura maggiore rispetto alla tolleranza del carico, diminuendo la probabilità che la resistenza del tessuto venga superata. È necessaria una conoscenza approfondita di questa interazione per formare appropriate strategie di mitigazione del rischio d’infortunio che non fermino gli atleti o riducano la resilienza dei tessuti, ma migliorino lo stato di rischio lesivo. Negli atleti delle discipline di corsa, per esempio, uno stop causa nell’atleta la riduzione della massa muscolare, la riduzione delle massime espressioni di forza e di velocità di scatto, con conseguente riduzione della resistenza degli hamstrings e riduzione dei carichi a causa della riduzione della produzione di forza e delle capacità di scatto. Un simile scenario può ridurre il rischio d’infortuni dei muscoli posteriori della coscia con un indesiderato impatto negativo corrispondente sulle prestazioni a causa dell’incapacità dell’atleta di produrre picchi di forza e velocità di scatto elevati. Un approccio ottimale per lo sviluppo dell’atleta sarebbe quello d’implementare protocolli che migliorino la resilienza di vari tessuti soggetti a lesioni per consentire agli atleti di tollerare il carico associato ad aumenti delle prestazioni. Inoltre alcune strategie che sviluppano la resilienza dei tessuti possono anche fornire benefici in termini di prestazioni, sottolineando l’importanza di comprendere la relazione tra tolleranza del carico e applicazione del carico e le conseguenze della strategia adottata per influenzare questi due componenti.
Un’ulteriore importante considerazione relativa al quadro concettuale è garantire che i ricercatori abbiano una conoscenza approfondita di come i singoli componenti che contribuiscono alla lesione interagiscono con altri fattori che sostengono la tolleranza del carico di una particolare struttura o tessuto e i carichi applicati. Ad esempio, quando si valuta la resilienza muscolare, l’uso di una singola proprietà come la “stiffness MTU” (la stiffness dell’unità muscolo-tendinea) o la forza attiva per la tolleranza del carico, può contenere valore a livello di ricerca, tuttavia però può anche produrre risultati contrastanti, quando altri fattori meccanici che contribuiscono alla tolleranza del carico muscolare non vengono considerati, come la lunghezza delle fibre muscolari o del fascio muscolare e i tempi di attivazione muscolare che possono avere implicazioni sostanziali per lo stress assoluto e le tolleranze allo sforzo del tessuto per un determinato momento. I ricercatori devono cercare modi per quantificare meglio la resistenza dei vari tessuti soggetti a lesioni, incorporando la moltitudine di fattori che contribuiscono alla resilienza dei tessuti. Inoltre i progressi tecnologici che consentono una migliore quantificazione di specifici carichi sui tessuti consentirebbero di esaminare a fondo l’interazione tra le tolleranze di carico dei tessuti e le applicazioni di carico, aiutando nell’esame della causa della lesione. Per facilitare ulteriormente ciò di seguito viene presentato un quadro dettagliato per le lesioni legate allo stress, alla deformazione e al sovrallenamento.
Quadro dettagliato per lesioni legate allo stress, allo sforzo e al sovrallenamento
Per basarsi sul modello concettuale e fornire una maggiore comprensione, nella figura 2 è presentato un quadro dettagliato su cui si basano le lesioni legate allo stress, alla sforzo e all’allenamento eccessivo. Nella figura, la casella A rappresenta i fattori che contribuiscono alla fisiologia di un individuo evidenziato nell’anello esterno del modello concettuale. Il riquadro B rappresenta le proprietà meccaniche immediate e croniche e i punti di forza specifici dei tessuti determinati da una fisiologia individuale e da una regolazione meccanica acuta. La casella C rappresenta le forze sperimentate da specifici tessuti all’interno del corpo. La casella D riflette il terzo strato del modello concettuale e rappresenta la quantità di stress e tensione vissuta all’interno di un particolare tessuto, determinata dalle proprietà meccaniche del corpo e dei suoi vari tessuti, dalle forze applicate e dai carichi specifici di tessuto che compongono la giunzione 1. La giunzione 2 è l’interazione tra la forza di un particolare tessuto a rischio di lesione e lo stress e la tensione subita dal tessuto. Il riquadro E rappresenta il verificarsi di lesioni. Le lesioni acute correlate allo stress o alla sforzo si verificano quando il carico applicato a un tessuto specifico supera la resistenza di quel tessuto. Se la forza del tessuto non viene superata e non si verificano lesioni acute correlate allo stress o alla deformazione, possono verificarsi adattamenti fisiologici, come illustrato nel riquadro F. Per la presenza di lesioni da uso eccessivo, va verificato un modello di carico meccanico notevolmente diverso che porta a “micro danni” e affaticamento dei tessuti ed eventuali lesioni da uso eccessivo. Nel testo che segue, i vari raggruppamenti del modello saranno spiegati in dettaglio.
Figura 2: un quadro dettagliato per lesioni legate allo stress, allo sforzo e al sovrallenamento
Parte A: fisiologia di un individuo
Le particolarità fisiologiche di un individuo determinano le proprietà meccaniche del corpo insieme alle competenze fisico-prestative di un atleta. In quanto tale, la fisiologia, in larga misura, determina le forze a cui un atleta è esposto insieme alle capacità di carico delle varie strutture del corpo. Per questi motivi la fisiologia dell’individuo costituisce la base della struttura (Figura 3). Una serie di fattori di rischio di lesioni contribuiscono o sono fortemente associate alla fisiologia. Questi fattori influenzano il rischio d’infortunio influenzando a loro volta la tolleranza al carico di tessuti specifici. Nel quadro questi fattori sono stati separati in fattori di rischio fisiologici intrinseci modificabili che contribuiscono alla lesione, fattori di rischio fisiologico intrinseco non modificabili che contribuiscono alla lesione e tutti i fattori esterni che contribuiscono alla fisiologia ddi tipo acuto e cronico. Numerosi fattori fisiologici intrinseci modificabili sono stati associati a lesioni negli atleti. Esempi di fattori di rischio di infortunio che rientrano in questa categoria sono la composizione corporea, il contenuto di minerali ossei (12), la struttura muscolare (13) compresa la lunghezza del fascio muscolare, la lunghezza muscolare (14) ottimale per la produzione di forza (15), e la struttura del tendine (16) tra gli altri. Alcuni fattori fisiologici intrinseci non modificabili che hanno un’associazione con una lesione includono, tra gli altri, età (17), sesso (17), altezza (18), lesioni precedenti (18,19,20), mestruazioni (21) gruppo sanguigno (22), e larghezza del condilo (23). La terza categoria a questo livello include fattori esterni che sono noti per influenzare la fisiologia sia cronicamente, che acutamente. Uno di questi fattori a cui è stata data una significativa attenzione all’interno della letteratura è il “carico di lavoro esterno” con un corpo di ricerca che cerca di associare una serie di fattori di carico di lavoro al rischio d’infortunio (17,18,20). Altri fattori esplorati in letteratura includono il metodo di allenamento (24,25) assunzione nutrizionale (13) riscaldamento, defaticamento e stretching (26), farmaci (13) e sonno (27, 28) tra gli altri.
Figura 3: fisiologia dell’individuo alla base del modello
Parte B: resistenza specifica del tessuto
Il corpo umano è costituito da una gamma di tessuti, tra cui ossa, tendini, legamenti e muscolo che sono comunemente esposti a lesioni durante l’attività sportiva. Sebbene tutti contribuiscano in gran parte a un sistema di funzionamento e gestione del carico, ognuno possiede i propri punti di forza specifici che, se superati, provocano il fallimento del tessuto. La composizione meccanica e il funzionamento fisiologico di questi tessuti determinano la loro forza e il loro ruolo nell’accompagnare lo stress e la tensione. Pertanto la corretta comprensione di questi tessuti e in che modo i fattori che li espongono alla lesione influenzano il loro funzionamento fisiologico e le loro caratteristiche meccaniche sono della massima importanza per comprendere la causa della lesione. Il riquadro B (Figura 4) racchiude in sé tutte le proprietà meccaniche del corpo umano che contribuiscono ai punti di forza specifici dei vari tessuti soggetti a lesioni. Le proprietà meccaniche di questi tessuti sono il risultato diretto delle caratteristiche fisiologiche di un atleta. Pertanto le alterazioni di tale fisiologia influenzano direttamente le proprietà meccaniche e, di conseguenza, influenzano la resilienza dei tessuti. Questa relazione è comunemente trascurata nella letteratura e costituisce il collegamento tra la parte A e la parte B del quadro.
Figura 4: parte B del quadro dettagliato
Esistono numerosi ricerche che studiano come i cambiamenti nella fisiologia comportino cambiamenti nelle proprietà meccaniche del corpo. Ad esempio, è stato dimostrato che i tendini aumentino la propria stiffness, il modulo di Young (detto anche modulo di elasticità, è una grandezza i cui valori dipendono dal materiale considerato e che esprime la propensione dei materiali ad allungarsi o ad accorciarsi a seguito dell’azione di una forza di carico) e l’area della sezione trasversale, in risposta a vari stimoli di allenamento (16). Allo stesso modo sono stati aumentati l’ipertrofia muscolare, la forza e successivamente la stiffness e il modulo di Young in risposta all’esposizione del carico correttamente spostato (29). Molti studi hanno mostrato cambiamenti simili alle proprietà meccaniche di altri tessuti come l’osso, per cui in genere si osservano aumenti della densità ossea e della densità minerale ossea nelle regioni con elevato stress meccanico, fornendo un mezzo efficace per migliorare la stiffness e la resistenza dell’osso (30).
Molti tessuti del corpo, come ossa e tendini, non possono alterare così facilmente le loro proprietà meccaniche e quindi debbono farlo attraverso un adattamento fisiologico cronico. Al contrario, le proprietà meccaniche di altri tessuti e sistemi strutturali all’interno del corpo, come articolazioni e muscoli, possono essere modificate in modo acuto. Ciò si ottiene principalmente attraverso il fuso muscolare (29,31) e l’attivazione dell’organo tendineo del Golgi (29,31) e più in generale, con l’attivazione muscolare (29,31,32). Ad esempio, la stiffness dell’unità muscolo-tendinea ha dimostrato di aumentare a seguito di una maggiore attivazione muscolare, aumentando successivamente la tolleranza allo stress della muscolatura e la riduzione della quantità di sforzo subito per un dato stress (32). In quanto tale molti fattori di rischio di lesioni fisiologiche sono associati alle lesioni attraverso la loro influenza sull’attivazione e sulla funzione dei muscoli e sulle proprietà meccaniche che ne risultano. I fattori noti per avere tale influenza includono affaticamento acuto (33) deplezione acuta di glicogeno (34) e acidificazione muscolare (33) tra gli altri. Questi fattori sono importanti da considerare in quanto tutti i fattori che compromettono il funzionamento muscolare, riducono inevitabilmente la capacità di recupero muscolare e possono anche aumentare lo stress imposto ad altri tessuti corporei.
Parte C e D: caricamento dei tessuti: stress e tensione
Nelle scienze dei materiali, l’esaurimento si verifica quando la resistenza di un dato materiale viene superata da uno stress e una tensione eccessivi indotti dall’applicazione di una singola sollecitazione di considerevole grandezza o in alternativa ripetute applicazioni di carico ad una percentuale massima di resistenza del materiale (5). Considerando che il tessuto biologico è anche un materiale, sebbene all’interno di un ambiente fisiologico dinamico che incorpora il rimodellamento e il ripristino dei tessuti, la maggior parte delle lesioni atletiche si verificano a seguito di stress e tensione eccessivi, se sperimentati acutamente, con conseguente stress acuto o lesioni correlate allo sforzo, o nel tempo, con conseguenti lesioni da sovrallenamento. Sebbene la relazione tra stress e tensione sia proporzionale per qualsiasi dato materiale con proprietà meccaniche coerenti (legge di Hooke), alcuni tessuti biologici come i muscoli, possono facilmente alterare la relazione tra stress e tensione (modulo di Young) modificando le proprietà meccaniche, in particolare la stiffness. L’entità dello stress e della tensione vissuta da un particolare tessuto è determinata dall’interazione tra la forza applicata ad un tessuto specifico e le proprietà meccaniche di quello stesso tessuto, etichettata come giunzione 1 nel quadro. Affinché un materiale o un tessuto subisca sollecitazioni e sforzi è necessario innanzitutto applicare il principale momento meccanico alla rottura, alla forza del materiale. I principali contributori a queste forze sono racchiusi nella Parte C del quadro (Figura 5). Numerosi aspetti fisici contribuiscono e sono associati alle lesioni, influenzando gli aspetti del carico strutturale, come la forza muscolare (35), relazioni muscolari agonista-antagonista (36,37), capacità di produzione di energia e velocità di scatto (37,38), equilibrio (39), controllo neuromuscolare (40) e meccanica e tecnica del movimento (41) tra gli altri, tutti contribuiscono al carico delle strutture specifiche all’interno del corpo. Altri fattori esterni, tra cui la forza di reazione al suolo (9), contatti fisici (42) tipo di superficie di scorrimento (43) e il tipo di scarpa (44) contribuiscono tutti a provocare lesioni, influenzando le forze subite e la distribuzione di queste forze sui vari tessuti. Queste forze interagiscono quindi con le proprietà meccaniche determinate fisiologicamente e accuratamente regolate del corpo e dei suoi vari tessuti, che determinano lo stress e la tensione vissute, espresse nella parte D del quadro (Figura 5). È interessante notare che, nonostante lo stress eccessivo e le tensioni siano le cause primarie della lesione, questi fattori meccanici forniscono anche importanti stimoli per un adattamento fisiologico e meccanico positivo se gestiti in modo appropriato (45,46,47,48). Come tale una distinzione tra stress eccessivo e sforzo e un’esposizione appropriata è fornita nella parte E e F del quadro (Figura 6).
Figura 5: parte C e D e giunzione 1 del quadro dettagliato
Figura 6: parte E & F e giunzione 2 del quadro dettagliato
Parte E & F: lesione o possibile adattamento
Una gamma di tessuti all’interno del corpo soggetti a lesioni possiedono propri punti di forza. La forza è la capacità di una particolare struttura, materiale o tessuto di resistere a un carico applicato. Quando lo stress e la tensione sperimentati superano la resistenza di un particolare tessuto, si verifica un “fallimento (o esaurimento) strutturale”, con conseguente stress acuto o lesioni correlate allo sforzo. La giunzione 2 nel quadro è rappresentativa dell’interazione tra lo stress e la tensione che un particolare tessuto sperimenta e la forza di quel tessuto. Sebbene la macro regione e l’insufficienza tissutale siano sinonimi, all’interno del corpo umano il micro-danno può fornire importanti stimoli per un adattamento fisiologico e meccanico positivo. Tuttavia il punto determinante in cui il danno strutturale è considerato eccessivo e presenta delle lesioni rimane in qualche modo ambiguo, in particolare nella muscolatura. Come tale la forza del tessuto sembra essere il termine appropriato per questo concetto. Sebbene lo stress e la tensione siano proporzionali tra loro, un concetto noto come legge di Hookes, la lesione a determinati tessuti è in genere più assimilabile allo stress subito o alla tensione vissuta. Ciò è dovuto alle varie proprietà meccaniche esistenti tra le strutture e alla capacità di alcuni tessuti, come la muscolatura, di alterare il modulo di Young (49). È comunemente risaputo che la lesione muscolare è più strettamente correlata allo sforzo sperimentato, piuttosto che allo stress (6,8,50). In particolare sembra che si verifichino lesioni muscolari quando esposte a sforzi in condizioni di tensioni muscolari molto elevate (6,8,50,51). Al contrario le fratture da stress da sovrallenamento o le lesioni acute all’osso sono più assimilabili con lo stress eccessivo che si verifica sull’osso (52). La resistenza di un dato materiale o tessuto è specifica per il tipo di carico sperimentato, con diversi tipi di resistenza esistenti a seconda della natura delle forze applicate. Ad esempio resistenza a compressione, resistenza a trazione, resistenza a impatto e resistenza a fatica, sono tutti punti di forza diversi che contribuiscono alla tolleranza globale del carico di una particolare struttura. Ai fini di questo quadro, il superamento della resistenza a fatica (rottura della fatica) segue il percorso ciclico del carico e dell’uso eccessivo.
Quando viene superata la forza di un particolare tessuto all’interno del corpo, si verifica una lesione. Tuttavia il tipo di lesione dipende dalla natura del modello di carico sperimentato. Di recente Edwards (7) ha proposto che le lesioni da sovrallenamento debbano essere considerate come un fenomeno di affaticamento meccanico, in quanto sembra che si verifichino quando il tessuto in questione è esposto ad un carico ciclico ripetitivo che supera la propria riparabilità (7,53). Questo porta ad un progressivo affaticamento dei tessuti, che se continuato, provoca esaurimento tessutale (54,55). All’interno del corpo umano, la fatica meccanica è definita come danno micro-strutturale, o micro-danno, in risposta a carico ciclico o ripetituto (7) ed è caratterizzata dall’accumulo di danni ai tessuti e dalla progressiva riduzione della stiffness e della resistenza strutturale (7). La natura del danno micro-strutturale indotto dalla fatica provoca variazioni tra le strutture con danni al tendine, che si presentano con fibre attorcigliate o con dissociazioni localizzate delle fibre (56), mentre l’osso si presenta con micro-fessure lineari (57).
Per descrivere il numero di cicli di caricamento in caso di problematiche per un particolare materiale, viene comunemente utilizzata una curva di sollecitazione-numero di cicli (curva S–N) (8). È attraverso i principi generali della curva S–N e la fatica strutturale, che la struttura delle lesioni rimandante a Bertelson et al. (4) può essere migliorata. All’interno del loro modello, la lesione si verifica quando il carico cumulato, espresso come la somma dei carichi specifici del passo a cui una determinata struttura muscolo-scheletrica è esposta durante una singola sessione di corsa, supera la tolleranza di carico della struttura. Sebbene la quantificazione del carico cumulato possa valere sia per i professionisti, che per i ricercatori, l’utilizzo del carico cumulato come surrogato del rischio d’infortunio è imperfetto, poiché la relazione tra carico cumulato e danno cumulato non è lineare; un concetto importante enfatizzato da Edwards (7). Il danno cumulativo che un tessuto subisce può variare considerevolmente a seconda che il carico ciclico riscontrato sia costituito da un numero inferiore di carichi ad alto grado (carico a ciclo ridotto) o da un numero maggiore di carichi a basso grado (carico a ciclo elevato). Per un dato carico cumulato, il modello di carico costituito da carichi di grandezza relativamente più elevati dovrebbe indurre quantità considerevolmente maggiori di danno cumulato, rispetto al carico del ciclo elevato, secondo la regola Palmgren-Miner (59,60). Per carpire la fatica del materiale e l’interazione tra grandezza del carico e numero di cicli, vi sono un certo numero di metodi convalidati per prevedere l’accumulo di danni in materiali con regimi di carico variabili, simili a quelli tipicamente sperimentati dai tessuti muscoloscheletrici, con la regola Palmgren-Miner (59,60). Per un esame più dettagliato di questo concetto, il lettore è diretto al lavoro di Edwards (7) e alla revisione sistematica di Gallagher & Heberger (61) Inoltre, quando si considera il danno cumulativo ai tessuti, è importante riconoscere il ruolo del ripristino del danno, il rimodellamento, e adattamento che avviene nei tessuti biologici durante il riposo e il recupero.
Se i punti di forza dei tessuti non vengono superati e i carichi applicati non provocano le fasi iniziali di cedimento della fatica strutturale o lesioni da uso eccessivo, possono ancora verificarsi numerosi possibili cambiamenti fisiologici acuti e cronici. Alcuni esempi di cambiamenti fisiologici e meccanici che possono presentare in modo acuto includono l’affaticamento strutturale e le riduzioni della stiffness (62,63) l’affaticamento acuto e la deplezione di glicogeno (33,34), l’acidificazione muscolare (33), i danni muscolari (50,51) e la ridotta produzione di forza (50,51) tra gli altri. Sebbene questi cambiamenti acuti possano avere effetti dannosi a breve termine, un adeguato recupero può fornire adattamenti fisiologici e meccanici a lungo termine positivi tra i quali l’ipertrofia muscolare e gli aumenti di forza (64), l’adattamento tendineo (16) e l’adattamento osseo (48). Tuttavia è importante porre l’accento sul recupero poiché un recupero inadeguato può comportare una diminuzione della resilienza strutturale e tessutale e un conseguente aumento del rischio di lesioni. Pertanto è necessaria una corretta comprensione dei meccanismi precisi che inducono adattamenti fisiologici positivi o lesioni in tessuti specifici in quanto l’identificazione del punto determinante in cui gli adattamenti fisiologici positivi non sono più possibili e si verifica una lesione, rimane in qualche modo sfuggente. Gli adattamenti fisiologici positivi o negativi che possono potenzialmente verificarsi nella parte F s’inseriscono nella prima casella della parte A, situata all’inizio della struttura.
Limitazioni del modello e del quadro
Considerando che il modello e la struttura proposti si concentrano principalmente su forza, fisiologia e meccanica, esistono alcune limitazioni. In particolare alcuni dei più ampi fattori contestuali che contribuiscono al pregiudizio non sono stati affrontati in dettaglio. La gamma di fattori contestuali che potenzialmente contribuiscono al danno è ampia e l’identificazione di specifici fattori contestuali non rientra nell’ambito di questo documento. Ci si aspetterebbe inoltre che anche i fattori contestuali rilevanti possano variare tra tipi specifici di lesioni. Un’ulteriore limitazione è che il modello e la struttura coprono una vasta gamma di lesioni. Sebbene i componenti del modello e della struttura siano fondamentali per il danno e la lesione dei tessuti, il ruolo di una serie di fattori rilevanti che contribuiscono a specifici meccanismi di lesione (ad es. lesioni al legamento crociato anteriore, lussazione della spalla ecc.) potrebbero non essere immediatamente chiari. Incoraggiamo l’utilizzazo del quadro proposto per lo sviluppo di quadri specifici per lo sport e gli infortuni, in modo che questi fattori possano essere affrontati in modo più dettagliato e in contesti pertinenti.
Conclusione
Ad oggi non è stato stabilito un quadro dettagliato che delinea i percorsi causali di specifici fattori di rischio per il verificarsi delle lesioni. Il framework proposto fornisce una comprensione olistica del verificarsi di lesioni incentrato sui concetti di tolleranza del carico e applicazione del carico. La struttura considera sia le caratteristiche fisiologiche, che meccaniche del corpo umano, incorporando anche le forze esterne applicate che, se eccessive, provocano lesioni. In particolare le proprietà meccaniche del corpo umano determinano la quantità di stress e tensione a cui possono resistere le varie strutture all’interno, senza subire lesioni. Di ulteriore considerazione sono le differenze nei modelli di carico subite da particolari strutture, in quanto determinano in gran parte il tipo di lesione. È in coraggiosa la ricerca futura per la ricerca di percorsi causali della lesione, utilizzando questo quadro come guida. Infine è importante ribadire che si tratta di una proposta e che studi futuri dovrebbero cercare di contestare il quadro confermando o respingendo i singoli componenti.
Tratto da: Kalkhoven J., Watsford M.L., Impellizzeri F.M., A conceptual model and detailed framework for stress-related, strain-related, and overuse athletic injury – Review, Journal of Science and Medicine in Sport Volume 23, Issue 8, August 2020, pp. 726-734
Riferimenti
- R. Bahr, T. Krosshaug, Understanding injury mechanisms: a key component of preventing injuries in sport. British Journal Sports of Medicine, 39 (6) (2005), pp. 324-329
- W.H. Meeuwisse, H. Tyreman, B. Hagel, et al., A dynamic model of etiology in sport injury: the recursive nature of risk and causation. Clinical Journal of Sport Medicine, 17 (3) (2007), pp. 215-219
- J. Windt, T.J. Gabbett, How do training and competition workloads relate to injury? The workload-injury aetiology model. British Journal Sports of Medicine, 51 (5) (2017), pp. 428-435
- M.L. Bertelsen, A. Hulme, J. Petersen, et al., A framework for the etiology of running-related injuries. Scandinavian Journal of Medicine & Science in Sports, 27 (11) (2017), pp. 1170-1180
- R.J.A.B. Peterson. Discussion of a century ago concerning the nature of fatigue, and review of some of the subsequent researches concerning the mechanism of fatigue Materials Science, 164 (1950), pp. 50-56R.
- L. Lieber, J. Friden Muscle damage is not a function of muscle force but active muscle strain. Journal of Applied Physiology (1985), 74 (2) (1993), pp. 520-526
- W.B. Edwards. Modeling overuse injuries in sport as a mechanical fatigue phenomenon. Exercise and Sport Sciences Reviews, 46 (4) (2018), pp. 224-231
- W.E. Garrett Jr. Muscle strain injuries. The American Journal of Sports Medicine, 24 (6 Suppl) (1996), pp. S2-8
- K. Crossley, K.L. Bennell, T. Wrigley, et al. Ground reaction forces, bone characteristics, and tibial stress fracture in male runners. Medicine & Science in Sports & Exercise, 31 (8) (1999), pp. 1088-1093
- N.L. Kerr HARKing: hypothesizing after the results are known. Personality and Social Psychology Review, 2 (3) (1998), pp. 196-217
- M. de Hoyo, M. Pozzo, B. Sanudo, et al. Effects of a 10-week in-season eccentric-overload training program on muscle-injury prevention and performance in junior elite soccer players. International Journal of Sports Physiology and Performance, 10 (1) (2015), pp. 46-52
- R.O. Nielsen, M.L. Bertelsen, E.T. Parner, et al. Running more than three kilometers during the first week of a running regimen may be associated with increased risk of injury in obese novice runners. International Journal of Sports Physical Therapy, 9 (3) (2014), pp. 338-345
- K.H. Myburgh, J. Hutchins, A.B. Fataar, et al. Low bone density is an etiologic factor for stress fractures in athletes. Annals of Internal Medicine, 113 (10) (1990), pp. 754-759
- R.G. Timmins, M.N. Bourne, A.J. Shield, et al. Short biceps femoris fascicles and eccentric knee flexor weakness increase the risk of hamstring injury in elite football (soccer): a prospective cohort study. Britsh Journal of Sports Medcine, 50 (24) (2016), pp. 1524-1535
- C.L. Brockett, D.L. Morgan, U. Proske. Predicting hamstring strain injury in elite athletes. Medicine & Science in Sports & Exercise, 36 (3) (2004), pp. 379-387
- Bohm, F. Mersmann, A. Arampatzis. Human tendon adaptation in response to mechanical loading: a systematic review and meta-analysis of exercise intervention studies on healthy adults. Sports Medicine, 1 (1) (2015), p. 7
- K.A. McKean, N.A. Manson, W.D. Stanish. Musculoskeletal injury in the masters runners Clin J Sport Med, 16 (2) (2006), pp. 149-154
18) S.D. Walter, L.E. Hart, J.M. McIntosh, et al. The Ontario cohort study of running-related injuries. Archives of Internal Medicine, 149 (11) (1989), pp. 2561-2564
19) C.H. Rasmussen, R.O. Nielsen, M.S. Juul, et al. Weekly running volume and risk of running-related injuries among marathon runners. International Journal of Sports Physical Therapy, 8 (2) (2013), pp. 111-120
20) B. Marti, J.P. Vader, C.E. Minder, et al. On the epidemiology of running injuries. The 1984 Bern Grand-Prix study. The American Journal of Sports Medicine, 16 (3) (1988), pp. 285-294
21) T. Lloyd, S.J. Triantafyllou, E.R. Baker, et al. Women athletes with menstrual irregularity have increased musculoskeletal injuries. Medicine & Science in Sports & Exercise, 18 (4) (1986), pp. 374-379
22) P. Kannus, A. Natri. Etiology and pathophysiology of tendon ruptures in sports. Scandinavian Journal of Medicine & Science in Sports, 7 (2) (1997), pp. 107-112
23) T.O. Souryal, T.R. Freeman. Intercondylar notch size and anterior cruciate ligament injuries in athletes. A prospective study. The American Journal of Sports Medicine, 21 (4) (1993), pp. 535-539
24) N.J. Chimera, K.A. Swanik, C.B. Swanik, et al. Effects of plyometric training on muscle-activation strategies and performance in female athletes
Journal of Athletic Training, 39 (1) (2004), pp. 24-31
25) D.A. Opar, M.D. Williams, R.G. Timmins, et al. Eccentric hamstring strength and hamstring injury risk in Australian footballers. Medicine & Science in Sports & Exercise, 47 (4) (2015), pp. 857-865
26) D.G. Behm, A.J. Blazevich, A.D. Kay, et al. Acute effects of muscle stretching on physical performance, range of motion, and injury incidence in healthy active individuals: a systematic review. Applied Physiology, Nutrition, and Metabolism, 41 (1) (2016), pp. 1-11
27) H.H. Fullagar, S. Skorski, R. Duffield, et al. Sleep and athletic performance: the effects of sleep loss on exercise performance, and physiological and cognitive responses to exercise. Sports Medicine, 45 (2) (2015), pp. 161-186
28) H.H. Fullagar, R. Duffield, S. Skorski, et al. Sleep and recovery in team sport: current sleep-related issues facing professional team-sport athletes. International Journal of Sports Physiology and Performance, 10 (8) (2015), pp. 950-957
29) P.V. Komi. Training of muscle strength and power: interaction of neuromotoric, hypertrophic, and mechanical factors. International Journal of Sports Medicine, 7 (Suppl. 1) (1986), pp. 10-15
30) C.H. Turner. Bone strength: current concepts. Annals of the New York Academy of Sciences, 1068 (2006), pp. 429-446
31) J.C. Houk. Feedback control of muscle: a synthesis of the peripheral mechanisms
W.B. Mountcastle (Ed.), Medical Physiology (13th ed.), Mosby, St. Louis Mo (1974)
32) W.E. Garrett Jr., M.R. Safran, A.V. Seaber, et al. Biomechanical comparison of stimulated and nonstimulated skeletal muscle pulled to failure. The American Journal of Sports Medicine, 15 (5) (1987), pp. 448-454
33) K.A. Edman, F. Lou. Changes in force and stiffness induced by fatigue and intracellular acidification in frog muscle fibres. The Journal of Physiology, 424 (1990), pp. 133-149
34) W.E. Garrett Jr., J.C. Califf, F.H. Bassett 3rd. Histochemical correlates of hamstring injuries.The American Journal of Sports Medicine, 12 (2) (1984), pp. 98-103
35) J. Orchard, J. Marsden, S. Lord, et al. Preseason hamstring muscle weakness associated with hamstring muscle injury in Australian footballers. The American Journal of Sports Medicine, 25 (1) (1997), pp. 81-85
36) J.L. Croisier, S. Ganteaume, J. Binet, et al. Strength imbalances and prevention of hamstring injury in professional soccer players: a prospective study. The American Journal of Sports Medicine, 36 (8) (2008), pp. 1469-1475
37) S.S. Yeung, A.M. Suen, E.W. Yeung. A prospective cohort study of hamstring injuries in competitive sprinters: preseason muscle imbalance as a possible risk factor
British Journal of Sports Medicine, 43 (8) (2009), pp. 589-594
38) C. Woods, R.D. Hawkins, S. Maltby, et al. The Football Association Medical Research Programme: an audit of injuries in professional football—analysis of hamstring injuries
Brtish Journal Sports of Medicine, 38 (1) (2004), pp. 36-41
39) C. Hrysomallis. Relationship between balance ability, training and sports injury risk
Sports Medine, 37 (6) (2007), pp. 547-556
40) T.E. Hewett, G.D. Myer, K.R. Ford, et al. Biomechanical measures of neuromuscular control and valgus loading of the knee predict anterior cruciate ligament injury risk in female athletes: a prospective study. The American Journal of Sports Medicine, 33 (4) (2005), pp. 492-501
41) M. Portus, B.R. Mason, B.C. Elliott, et al. Technique factors related to ball release speed and trunk injuries in high performance cricket fast bowlers
Sports Biomechanics , 3 (2) (2004), pp. 263-284
42) C.W. Fuller, J.H. Brooks, R.J. Cancea, et al. Contact events in rugby union and their propensity to cause injury. Brtish Journal of Sports Medicine, 41 (12) (2007), pp. 862-867
43) J.W. Powell, M. Schootman. A multivariate risk analysis of selected playing surfaces in the National Football League: 1980 to 1989. An epidemiologic study of knee injuries
The American Journal of Sports Medicine, 20 (6) (1992), pp. 686-694
44) G.D. McKay, P.A. Goldie, W.R. Payne, et al. Ankle injuries in basketball: injury rate and risk factors. British Journal of Sports Medicine, 35 (2) (2001), pp. 103-108
45) A.K. Yamada, R. Verlengia, C.R. Bueno Junior. Mechanotransduction pathways in skeletal muscle hypertrophy. Journal of Receptors and Signal Transduction, 32 (1) (2012), pp. 42-44
46) T.A. Hornberger, K.A. Esser. Mechanotransduction and the regulation of protein synthesis in skeletal muscle. Proceedings of the Nutrition Society, 63 (2) (2004), pp. 331-335
47) D.B. Burr, R.B. Martin, M.B. Schaffler, et al. Bone remodeling in response to in vivo fatigue microdamage. Journal of Biomechanics, 18 (3) (1985), pp. 189-200
48) A. Chamay, P. Tschantz. Mechanical influences in bone remodeling. Experimental research on Wolff’s law. Journal of Biomechanics, 5 (2) (1972), pp. 173-180
49) A. Gollhofer, D. Schmidtbleicher, V. Dietz. Regulation of muscle stiffness in human locomotion. International Journal of Sports Medicine, 5 (1) (1984), pp. 19-22
50) J. Friden, R.L. Lieber. Structural and mechanical basis of exercise-induced muscle injury. Medicine & Science in Sports & Exercise, 24 (5) (1992), pp. 521-530
51) R.L. Lieber, T.M. Woodburn, J. Friden. Muscle damage induced by eccentric contractions of 25% strain. Journal of Applied Physiology (1985), 70 (6) (1991), pp. 2498-2507
52) J.W. Melvin. Fracture mechanics of bone. Journal of Biomechanical Engineering, 115 (4B) (1993), pp. 549-554
53) S. Gallagher, M.C. Schall Jr. Musculoskeletal disorders as a fatigue failure process: evidence, implications and research needs. Ergonomics, 60 (2) (2017), pp. 255-269
54) T.A. Wren, D.P. Lindsey, G.S. Beaupre, et al. Effects of creep and cyclic loading on the mechanical properties and failure of human Achilles tendons. Annals of Biomedical Engineering , 31 (6) (2003), pp. 710-717
55) D.R. Carter, W.E. Caler. A cumulative damage model for bone fracture. Journal of Orthopaedic Research, 3 (1) (1985), pp. 84-90
56) D.T. Fung, V.M. Wang, D.M. Laudier, et al. Subrupture tendon fatigue damage
Journal of Orthopaedic Research, 27 (2) (2009), pp. 264-273
57) B.C. Herman, L. Cardoso, R.J. Majeska, et al. Activation of bone remodeling after fatigue: differential response to linear microcracks and diffuse damage. Bone, 47 (4) (2010), pp. 766-772
58) B. Martin. A theory of fatigue damage accumulation and repair in cortical bone
Journal of Orthopaedic Research, 10 (6) (1992), pp. 818-825
59) M.A. Miner. Cumulative damage in fatigue. Journal of Applied Mathematics and Mechanics, 67 (1945), pp. A159-164
60) A.J.N. Palmgren. Die Lebensdauer von Kugellagern. VDI-Zeitschrift, 58 (1924), pp. 339-341
61) S. Gallagher, J.R. Heberger. Examining the interaction of force and repetition on musculoskeletal disorder risk: a systematic literature review. Human Factors, 55 (1) (2013), pp. 108-124
62) D.R. Carter, W.E. Caler, D.M. Spengler, et al. Fatigue behavior of adult cortical bone: the influence of mean strain and strain range. Acta Orthopaedica Scandinavica, 52 (5) (1981), pp. 481-490 63
63) I. Hunter, G.A. Smith. Preferred and optimal stride frequency, stiffness and economy: changes with fatigue during a 1-h high-intensity run. European Journal of Applied Physiology, 100 (6) (2007), pp. 653-661
64) B.J. Schoenfeld. Does exercise-induced muscle damage play a role in skeletal muscle hypertrophy? The Journal of Strength and Conditioning Research, 26 (5) (2012), pp. 1441-1453
65) M.M. Rodgers, P.R. Cavanagh. Glossary of biomechanical terms, concepts, and units
Physical Therapy, 64 (12) (1984), pp. 1886-1902
66) E. Baumgart. Stiffness—an unknown world of mechanical science? Injury, 31 (Suppl. 2) (2000), pp. S-B14-23
67) M.L. Latash, V.M. Zatsiorsky. Joint stiffness: myth or reality? Human Movement Science, 12 (6) (1993), pp. 653-692